DILEXIT NOS

LETTRE ENCYCLIQUE DU SAINT-PÈRE FRANÇOIS SUR L’AMOUR HUMAIN ET DIVIN DU CŒUR DE JÉSUS-CHRIST

Un véritable testament spirituel du Pape François

“…  J’insiste beaucoup sur la dernière encyclique du Saint-Père qui constitue un véritable testament spirituel. Dilexit Nos, l’encyclique sur le Sacré cœur, très exactement l’amour humain et divin du cœur de Jésus. C’est une merveille quand elle est sortie, on sentait que déjà le Pape était proche du ciel. Il faut la lire et la relire. Ses encycliques sociales, Laudato si’ et Fratelli tutti, proviennent de cet amour profond du cœur de Jésus”.

Frère François-Marie Lethel, carme, théologien et consulteur au dicastère des Causes des saints

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Riflessioni sulla "Dilexit nos"

sr mariagrazia franceschini

Attesa e annunciata, il 24 ottobre è stata infine pubblicata la quarta enciclica di papa Francesco: Dilexit nos “sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo”, come esplicita il sottotitolo.

L’enciclica si colloca nel contesto delle celebrazioni (dal 27 dicembre 2023 al 27 giugno 2025) per il 350° anniversario della prima manifestazione, nel 1673, del Sacro Cuore di Gesù a santa Margherita Maria Alacoque, monaca della Visitazione di Paray-le-Monial, l’Ordine fondato da san Francesco di Sales e santa Giovanna Francesca de Chantal. La Dilexit nos ha precedenti illustri, uno per tutti la Haurietis aquas di Pio XII del 1956.

Il Papa stesso aveva annunciato la pubblicazione del documento durante l’udienza del 5 giugno scorso. Nell’intenzione di “riproporre oggi, a tutta la Chiesa, questo culto carico di bellezza spirituale”, aveva affermato: “Credo che ci farà molto bene meditare su vari aspetti dell’amore del Signore che possano illuminare il cammino del rinnovamento ecclesiale; ma anche che dicano qualcosa di significativo a un mondo che sembra aver perso il cuore”. 

In realtà, come è stato rilevato nella presentazione in sala stampa vaticana da mons. Bruno Forte, questa enciclica “esprime il cuore del magistero di papa Francesco […] ne dà la chiave di lettura”.

Intanto, è una ‘enciclica’ si pone cioè sul piano più alto del magistero di un pontefice e ha una destinazione universale, questo a dire quanta importanza Francesco attribuisca al tema che vi sviluppa.

La Dilexit nos parla di ‘cuore’: il cuore di Dio, il cuore umano-divino di Gesù di Nazareth, il cuore dell’uomo direttamente interpellato. Ma non lasciamoci sviare dal vocabolo che oggi rischia di rinviare a un mero sentimentalismo, a emozioni più o meno effimere. ‘Cuore’ nell’enciclica ha tutta la pregnanza che il vocabolo ha nella Scrittura e nella Tradizione spirituale della Chiesa.

Parla dunque di cuore, e lo fa ‘con il cuore’. Senza nulla togliere all’approfondimento teologico, alla precisione delle ricostruzioni storiche, all’ampio excursus sullo sviluppo della spiritualità del Cuore di Gesù, con riferimenti puntuali a diverse figure di Santi, questa enciclica ha un tenore molto più personale delle precedenti. In più di un passo affiora l’esperienza umana e spirituale del Papa stesso, esperienza che egli offre e condivide con semplicità, si tratti di riconoscere il contributo offertogli dagli scritti dell’amato confratello Diego Fares nella stesura del I capitolo, con quella aggiunta significativa: “Il Signore lo abbia nella sua santa gloria” (2, n.1) o di evocare momenti dell’infanzia, “giocare la prima partita di calcio con un pallone di pezza” (20), il cui ricordo è avvolto di tenerezza.

Questo ‘registro’ personale coinvolge direttamente il lettore. Può così ridestare energie sopite, scuotere via pigre abitudini mentali o religiose, con-fortare e motivare la vita credente e riaccendere lo slancio della testimonianza e della missione: “Cristo ti chiede, senza venir meno alla prudenza e al rispetto, di non vergognarti di riconoscere la tua amicizia con Lui. Ti chiede di avere il coraggio di raccontare agli altri che è un bene per te averlo incontrato” (211).

Forse tale posizione produrrà modelli intimistici o distoglierà dall’impegno per gli altri? Francesco stesso risponde: “[…] Che culto sarebbe per Cristo se ci accontentassimo di un rapporto individuale senza interesse per aiutare gli altri a soffrire meno e a vivere meglio? Potrà forse piacere al Cuore che ha tanto amato […]? Ma per questo stesso motivo diciamo che non si tratta nemmeno di una promozione sociale priva di significato religioso, che alla fine sarebbe volere per l’uomo meno di quello che Dio vuole dargli” (205).

sr mariagrazia franceschini

Accogliere e ricambiare l’amore del Cuore di Gesù porta a scoprirsi inviati “con una vocazione di servizio” (215), che poi ognuno declinerà nella propria condizione di vita. ‘Bevendo’ l’amore dal costato trafitto di Cristo possiamo diventare a nostra volta, per le persone con cui viviamo “fonte di acqua fresca”, quell’acqua di consolazione, di serenità, di pace, di armonia di cui tanto ha bisogno il nostro mondo (cfr 173).

È una proposta forte quella che ci fa papa Francesco. Vale per i singoli come per le comunità: famiglie, parrocchie, comunità religiose. Vale in modo tutto particolare per le monache della Visitazione di cui il fondatore, Francesco di Sales (ampiamente citato nell’enciclica), poteva scrivere: “Veramente la nostra piccola congregazione è un’opera del Cuore di Gesù e di Maria. Il Salvatore morente ci ha generati mediante l’apertura del suo sacro cuore” (OA XV, 63). Generate dal Cuore trafitto per viverne le virtù da Lui “predilette”, l’umiltà verso Dio e la dolcezza verso tutti i fratelli.

Ora, si spera, questa enciclica sarà letta, commentata, approfondita, offrirà motivo di ulteriori riflessioni, ma, come primo approccio, suggerisco un ‘registro’ altrettanto personale.

Vero che Francesco solo dal numero 205 passa al ‘tu’, interpellando direttamente il lettore, ma tutta l’enciclica può essere letta come una lettera indirizzata a un ‘tu’. Come la lettera di un “innamorato” che, conquistato da Cristo, non può “fare a meno di trasmettere questo amore che ha cambiato” la sua vita e vuole rendere partecipe anche te di quella esperienza di amicizia che ha colmato e dà senso ormai alla propria esistenza. “Con il massimo rispetto per la libertà e la dignità dell’altro, l’innamorato semplicemente spera che gli sia permesso di raccontare questa amicizia che riempie la sua vita” (210).

Nella conclusione dell’enciclica Francesco poi indica chiaramente in quale rapporto essa stia con le precedenti. Lungi dal segnare una soluzione di continuità ne costituisce la radice profonda: “Ciò che questo documento esprime ci permette di scoprire che quanto è scritto nelle Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo, perché, abbeverandoci a questo amore, diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune” (217).

Vediamo brevemente come è strutturata l’enciclica:

  • una introduzione: Ci ha amati
  • I parte: L’importanza del cuore
  • II parte: Gesti e parole d’amore
  • III parte: Questo è il cuore che ha tanto amato
  • IV parte: L’amore che dà da bere
  • V parte: Amore per amore
  • Conclusione
  • L’introduzione, brevissima, ricama attorno al titolo alcuni versetti biblici, con una sottolineatura significativa: “per primo”: l’amore divino che sempre precede e previene.
  • Si può dire che la I parte si situa a livello antropologico: una riflessione articolata sulla realtà del nostro tempo, sul cuore dell’uomo di ogni tempo, sulla esperienza umana in generale: anche già a questo livello sarebbe rovinoso ‘perdere il cuore’ o lasciare che si dissolva in un ‘mondo liquido’. Il Papa evidenzia la necessità di un recupero del ‘cuore’, della dimensione affettiva, della tenerezza, del farsi prossimo. E ci dice che ‘a partire dal cuore’ il mondo può cambiare. E tuttavia, per quanto volenteroso, il nostro cuore non è capace di questo, è fragile, ferito, senza un equilibrio che gli permetta di costruire relazioni buone, armoniose…
  • Arriviamo così al riconoscere che ‘abbiamo bisogno dell’aiuto dell’amore divino’, ‘quell’amore che abita e trabocca dal cuore di Cristo ‘fornace ardente di amore divino e umano, massima pienezza di ciò che possa raggiunge l’essere umano’. E il Papa esorta: ‘Andiamo al cuore di Cristo’, lì possiamo finalmente conoscere la nostra verità e dignità, lì impariamo ad amare (cfr 30).

sr mariagrazia franceschini

Gli ultimi numeri della I parte (30 e 31) ci introducono nella II parte dal titolo “Gesti e parole d’amore”. Se la prima era una riflessione antropologica, questa si presenta come una appassionata contemplazione del cuore di Gesù attraverso i suoi gesti, i suoi sguardi, le sue parole. Gesti, sguardi e parole quali ci sono consegnati dai Vangeli. Il Papa ci ricorda che Gesù più che dirci ‘come’ ci ama, lo ha dimostrato lungo tutta la sua vita fino alla morte in croce. Questi numeri (dal 32 al 47) sono dunque un invito a riprendere in mano il Vangelo e a ripercorrerlo passo passo attenti a cogliere le diverse manifestazioni dei sentimenti del cuore di Gesù verso di noi. Osservando la vita di Gesù vediamo come Dio sia un Dio vicino, paziente e compassionevole. Un Dio che non esita a ‘toccare’ le nostre ferite per sanarle con la sua tenerezza, che non teme di scendere fino in fondo al nostro male, un Dio che offre orizzonti di speranza e di risurrezione a chi è caduto. Quel Gesù che guariva il lebbroso, apriva gli occhi ai ciechi, dialogava con la samaritana, non respingeva l’adultera… è lo stesso che “oggi aspetta che tu gli dia la possibilità di illuminare la tua esistenza, di farti alzare, di riempirti con la sua forza” (38).

A questa parte propriamente biblica segue la III parte intitolata “Questo è il cuore che ha tanto amato” in cui il Papa ci invita a ricordare “come la Chiesa riflette sul santo mistero del Cuore del Signore” (47). Entrando più direttamente nel discorso sulla devozione al Cuore di Gesù, Francesco fa una considerazione previa importante: essa “non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo” (48) di cui il cuore è “segno privilegiato”, la cifra espressiva del suo amore. Dunque è “indispensabile” tenere ben presente che quando ci rivolgiamo, preghiamo, adoriamo il Cuore di Gesù è con la sua Persona che ci relazioniamo. La devozione al Sacro Cuore, la venerazione di una qualche sua immagine, se sono autentiche, non possono distoglierci da Gesù Cristo, ma ci indirizzano “a Lui e a Lui solo” che ci invita a un rapporto di “amicizia, fatta di dialogo, affetto, fiducia, adorazione” (cfr 51).

Il cuore ci parla di corpo, “di carne, di terra” e con ciò stesso ci rimanda al mistero fondante della nostra fede, quello della incarnazione. Il cuore ci dice di un “Dio che ha voluto entrare nella nostra condizione storica… e condividere il nostro cammino terreno” (58). E al riguardo il Papa ricorda la dottrina dei Padri della Chiesa che a fronte di eresie che negavano la realtà della carne di Gesù, la verità della sua umanità, affermarono con vigore la “realtà concreta e tangibile degli affetti umani del Signore” (62).

Da qui la considerazione del triplice amore che abita il Cuore di Gesù: amore divino e amore umano nella sua duplice dimensione: spirituale (gli affetti dell’anima umana di Gesù) e sensibile (le diverse concrete espressioni della sua umanità). “Entrando nel Cuore di Cristo ci sentiamo amati da un cuore umano, pieno di affetti e sentimenti come i nostri” e in questo amore pienamente umano “troviamo il suo amore divino: troviamo ‘l’infinito nel finito’” (67).

Francesco fa poi un passo ulteriore mostrando come la devozione al Cuore di Gesù, pur essendo eminentemente cristologica, non ci ferma al Cristo, ma ci rimanda al Padre. Del resto Gesù stesso si era definito ‘io sono la via’. Ma tale devozione coinvolge anche lo Spirito Santo che dal Cuore di Gesù “suo capolavoro” si effonde su di noi e ci introduce in modo vitale nel mistero del Cuore del Signore (cfr 75). In tal modo “il nostro rapporto con il Cuore di Cristo si trasforma” e ci introduce nella comunione con la Santissima Trinità (cfr 77).

Di seguito dopo aver ricordato che la spiritualità del Cuore di Cristo, in diversi modi è sempre stata presente nella vita della Chiesa, Francesco ripercorre il magistero relativo ad essa degli ultimi pontefici (cf 78-81) e arriva ad evidenziare come la devozione al Cuore di Cristo sia “essenziale per la nostra vita cristiana” perché “possiamo affermare che il Sacro Cuore è una sintesi del Vangelo” (83) e più oltre dirà “sintesi incarnata del Vangelo” (90). Non manca l’accenno al fatto che le “visioni o le manifestazioni mistiche narrate da alcuni santi [notare che parla di fenomeni riconosciuti come autentici dalla Chiesa! Non di presunti visionari] che hanno proposto con passione la devozione al Cuore di Cristo non sono qualcosa che i credenti sono obbligati a credere come se fossero la Parola di Dio. Sono stimoli belli che possono motivare e fare molto bene, anche se nessuno deve sentirsi obbligato a seguirli se non trova che lo aiutino nel suo cammino spirituale (83).

Il culto al Sacro Cuore dunque come essenziale e anche molto attuale, ben adatto a guarire “malattie” che ci insidiano e in cui facilmente, come singoli e come Chiesa, rischiamo di cadere, quali un ritorno ‘aggiornato’ al vecchio giansenismo, un attivismo che si snerva nell’organizzazione in progetti mondani con il rischio di dimenticare “la tenerezza della fede, la gioia della dedizione al servizio, il fervore della missione…” (cfr 88).

sr mariagrazia franceschini

La IV parte dell’enciclica, intitolata “L’amore che dà da bere”, è la più ampia e articolata, qui il Papa arriva a trattare più direttamente della devozione al Cuore di Cristo. Riprende dapprima la Scrittura mostrando come nel Cuore di Gesù trovano compimento le profezie dell’AT (cfr 101).

Mostra poi la risonanza di questa parola lungo la storia della Chiesa, a partire dai padri della Chiesa. In questa ricca spiritualità Francesco individua due grandi correnti: il Cuore come fonte di acqua viva cui attingere la grazia, la vita nuova attraverso i sacramenti e il Cuore come luogo dell’incontro personale con Cristo. Due correnti che trovano una magnifica sintesi in san Bonaventura (106).

Il Papa poi ripropone le diverse figure di santi e sante che lungo i secoli hanno tenuto viva la devozione al Cuore di Gesù, considerandola da diverse angolature che si integrano a vicenda. E in questo contesto presenta la figura di FdS e la prospettiva con cui guarda al Cuore di Gesù (114-118).

Giunge poi a santa Margherita Maria, a san Claudio de la Colombière fino a Charles de Foucauld (132) e a santa Teresa di Gesù Bambino (138). Non manca un capitoletto dedicato alle risonanze che il culto al Sacro Cuore ha avuto nella Compagnia di Gesù (144), e un altro in cui accenna ai molti istituti religiosi dedicati al Cuore di Gesù e che si ispirano al suo culto.

Passa poi più direttamente agli aspetti della spiritualità del Sacro Cuore con una nuova sezione, “La devozione della consolazione”. Il cuore rimanda al costato trafitto, alle ferite, alla morte di croce… Qui “contempliamo l’amore di Gesù che è stato capace di donarsi fino alla fine” a prezzo di “una intensa sofferenza per noi” (151). Da questa contemplazione nasce “il desiderio interiore di dargli consolazione” (152), desiderio che ha la sua ragion d’essere e il suo fondamento teologico nel fatto che la Passione di Cristo non è un fatto del passato: ad essa possiamo partecipare mediante la fede (154). Come sia possibile dare consolazione al Cristo nella passione ora vive risorto, glorioso e felice presso il Padre è un fatto che supera il ragionamento meramente umano ma ha le sue radici, per quanto misteriose nella Scrittura stessa.

La luce che irradia dal mistero pasquale “fa sì che mentre cerchiamo di offrire qualcosa a Cristo, le nostre stesse sofferenze vengono illuminate” (157). E il Papa precisa “la devozione della consolazione non è astorica o astratta, si fa carne e sangue nel cammino della Chiesa”.

Il desiderio di consolare il Cuore di Gesù nasce dal contemplare ciò che egli ha sofferto per noi, ma anche dal riconoscere la nostra mancata corrispondenza al suo amore, da qui viene la compunzione del cuore che non è frutto dei nostri sforzi ma è grazia da chiedere e che purifica… il dono delle lacrime (cfr 158-159).

Dalla compunzione alla fiducia, dall’impegno per consolare il Cuore di Cristo all’essere da Lui consolati, entrambi gli aspetti si nutrono reciprocamente e alla fine resta “gratitudine, tenerezza, pace” (161).

Ma, come ricordava Paolo nella 2Cor, siamo consolati per offrire a nostra volta consolazione. Siamo così introdotti nella quinta parte dove viene approfondita la dimensione comunitaria, sociale e missionaria di ogni autentica devozione al Cuore di Cristo” (163).

“Amore per amore” il titolo significativo di questa parte. Ora, nelle apparizioni del Sacro Cuore a Margherita Maria oltre alla ardente dichiarazione di amore da parte di Gesù” risuonano spesso appelli a dare la propria vita (Cfr 164). Con Margherita Gesù non esita a farsi mendicante di amore fino al lamento per le freddezze che riceve. Ciò che Lui chiede è di essere amato, una risposta che non sia una ricerca onerosa di sacrifici né un pesante dovere, ma una questione di amore (cfr 166). E la Scrittura insegna che la migliore risposta di amore all’amore di Dio è l’amore per i fratelli, declinato in ogni circostanza della vita. E questo chiede una profonda trasformazione interiore: dal ripiegamento egoista su di sé all’attenzione alle necessità degli altri, alla cura dei più deboli.

Questa ricaduta della devozione al Cuore di Gesù sull’impegno della vita a servizio dei fratelli, ricorda il Papa, ha avuto testimonianze bellissime nella vita dei Santi lungo la storia della Chiesa.

Francesco ricorda alcune di queste espressioni di carità: “essere una fonte per gli altri: “grazie all’immensa sorgente che sgorga dal costato aperto di Cristo… tutti i credenti in modi diversi diventano canali di acqua viva” (176).

Altre espressioni sono: “la trasformazione dell’affettività”, il mettersi alla scuola di Gesù mite e umile di cuore come ha fatto, ricorda ancora il Papa, FdS che insegna a ‘rubare’ il cuore del Signore attraverso le cose più modeste e ordinarie vissute con intensità di amore (cfr 178).

Francesco dedica poi un capitolo intenso al tema della riparazione, intesa come un ‘costruire sulle rovine’ (181-190). Che cosa il Signore ci chiede di riparare? Come riparare? Francesco ripropone la risposta già di Giovanni Paolo II (cfr 182).

Francesco presenta anche una diversa modalità di intendere la riparazione collocandola in un rapporto ancora più stretto con il Cuore del Signore. Riparazione come “rimuovere gli ostacoli che poniamo alla espansione dell’amore di Cristo nel mondo con le nostre mancanze di fiducia, di gratitudine e dedizione” (194). Il Papa ricorda qui l’offerta all’Amore di santa Teresa di Gesù Bambino.

Al sacrificio redentore di Cristo non vi è nulla da aggiungere, è perfetto, ma resta vero che la nostra libertà può rifiutarlo, può sottrarsi alla sua efficacia e impedire che le onde della sua infinita tenerezza dilaghino nel mondo. Si pone qui, al punto di incontro tra la infinita potenza dell’amore misericordioso di Dio e la terribile possibilità dell’uomo di chiudersi ad essa, l’atto di offerta della propria vita all’amore, l’impegno a lasciarsi trasformare da questo amore perché attraverso di noi raggiunga altri e trasformi il mondo (198).

“Un cuore umano che fa spazio all’amore di Cristo attraverso la fiducia totale e gli permette di espandersi nella propria vita con il suo fuoco, diventa capace di amare gli altri come Cristo, facendosi piccolo e vicino a tutti” (203): questo l’obiettivo esistenziale della devozione al Cuore di Gesù.

Un modo eminente in cui le fiamme d’amore del Cuore di Cristo si prolungano verso il mondo è l’opera missionaria della Chiesa (207). Non per nulla grandi missionari furono anche grandi innamorati del Cuore di Gesù. Tale opera se è tipica di alcuni è propria di ogni cristiano che sia innamorato di Colui che lo ha amato per primo. “Ognuno la compie a modo suo, e tu vedrai come potrai essere missionario, missionaria. Gesù lo merita. Se ne avrai il coraggio, Lui ti illuminerà. Ti accompagnerà e ti rafforzerà … Non importa se riuscirai a vedere dei risultati, questo lascialo al Signore che lavora nel segreto dei cuori, ma tu non smettere di vivere la gioia di cercare di comunicare l’amore di Cristo agli altri (216).

La conclusione ha la nota di una grande speranza: “L’amore di Gesù è in grado di dare un cuore a questa terra e di reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre (218).